Eandi Giovanni - Classe 1917 - nato a Vigone il 19 settembre - Coltivatore diretto
(intervista del 13 aprile 1984 di Francesco Suino e del cav. Ubertino Rivolo)
Sono andato a soldato nel 1938; assegnato nel 6° Reggimento Fanteria, a Palermo. Divisione "Vespri Siciliani". Ero di complemento. A fine agosto del '39 fui mandato in licenza, in attesa del congedo; la licenza era di 60 giorni. Non arrivando il congedo, la licenza fu prorogata di altri 80 giorni. Alla scadenza della licenza fui richiamato e trattenuto alle armi. Fu mandato in Sicilia, sede del mio Comando; restai fino al giugno del '40. Mentre ero in Sicilia picchiai un Sergente. Per punizione mi mandarono nel 17° Reggimento Fanteria "Divisione Acqui" e fui mobilitato in Grecia. Andai, dunque, sul fronte greco. Rimasi sempre in prima linea fino a quando mi fecero prigioniero i Greci: era il gennaio del '41. Mi hanno poi liberato dei paracadutisti tedeschi, a Creta. Mi mandarono, con gli altri prigionieri a Bari, con la nave "Livorno". Sbarcati a Bari ci misero in un Centro di raccolta di Torre a Mare hanno formato tre Battaglioni: uno l'hanno mandato a Sacile, un altro a Torino e l'altro a Vercelli: io sono andato a Vercelli. Questi soldati, già prigionieri, erano in attesa di giudizio per essere stati fatti prigionieri. Quelli, come me, che erano stati fatti prigionieri, li classificavano "traditori della Patria". Volevano sapere se ci eravamo dati prigionieri, o se ci aveva presi i Greci. A Vercelli sono stato 40 giorni; a casa, i miei familiari non sapevano nulla; dal Comune di Vigone sapevano soltanto che ero disperso sul fronte greco. Quel giorno che è arrivata la Commissione per l'interrogatorio, chiesero come erano andate le cose; se ci siamo arresi, oppure no. Ci chiesero anche se erano i nostri ufficiali che ci hanno dato l'ordine di arrenderci: ma così non era stato. Eravamo circondati dai Greci un bel momento siamo rimasti senza munizioni, e senza viveri. Inoltre il nostro Battaglione mitraglieri era rimasto distaccato dal resto del Reggimento. Quando ero sul Fronte greco sono stato sotto il Comando delle divisioni "Parma", "Bari", 'Modena" e "Lupi di Toscana". Ritornando al processo, mi ero già stufato di tutti quegli interrogatori. Una bella volta dissi alla Commissione: "Criste, se mi lasciavano a casa non mi prendevano prigioniero". Allora, un ufficiale, mi disse di andare in Fureria per farmi fare una licenza; andai in Fureria e mi feci fare la licenza dal primo scrivano che incontrai! Restai a casa 12 giorni. Ero arrivato con il treno fino ad Airasca era già sera, e mi incamminai verso Vigone, a piedi: da Airasca non c'era più la coincidenza per Vigone. Arrivai a Vigone che era notte fonda, ma non andai subito a casa; andai da mia sorella che era sposata con Ceaglio. Arrivato mi feci subito andare due uova: avevo una fame che li mangiai in un sol boccone. Finita la licenza mi recai al mio nuovo Comando, con sede a Cremona. Da lì mi mandarono a Silandro, in Alto Adige. A Silandro era distaccato il mio nuovo Comando. Un bel giorno suonarono l'allarme. Ci radunarono tutti in cortile in fila per tre. Davanti a noi c'era un Maggiore accompagnato da un ufficiale medico. Il Maggiore disse alla prima fila di fare un passo avanti e cominciò a passare in rassegna, dicendo: "Questo meno atto alle fatiche di guerra; questo idoneo al Corpo; questo meno atto; questo idoneo" e così via di seguito. A me mi fecero meno atto.
Ma, pur passandoli tutti in rivista, non riuscirono a formare i due Plotoni che volevano; uno dei Plotoni sarebbe andato a Verona e l'altro a Trento, per poi essere mandato in Russia.
Allora il maggiore ripassò in rivista quelli che aveva scartato quando fu da me mi disse che ero idoneo al Corpo. Io scattai su e dissi che dieci minuti prima non lo ero, e pertanto volevo rimanere qui: non mi misi nemmeno sull'attenti. Il Maggiore si mise a gridare chiamò il Capo Posto e mi portarono in prigione. Più tardi vennero e mi chiesero cosa avessi deciso: dissi che srei rimasto in prigione. "E allora marcirai qui dentro", mi dissero. L'indomani mi mandarono in infermeria e, dopo le visite, mi fecero meno abile. Mi mandarono poi all'Ospedale Militare di Bolzano, come modello 81 (ndr: articolo di codice militare). Mentre ero a Bolzano arrivò un telegramma per me, ma io non sapevo di cosa si trattasse. Mi chiamarono e mi dissero di andare a versare il corredo: pensavo che fosse per una convalescenza. Stava già arrivando il trenino e la licenza non c'era ancora. Corsi in fretta in Fureria e, incontrato il furiere, gli chiesi della mia licenza: "È qua", mi disse; gli strappai di mano la licenza e corsi in fretta alla stazione; salii di corsa sul trenino. Seduto che ero in treno, lessi il foglio della licenza: stava scritto: "Licenza straordinaria per gravi motivi familiari". Non potevo immaginare cosa poteva essere. Arrivato alla Stazione ferroviaria di Vigone, incontrai i miei parenti che aspettavano il treno per ritornare a casa, a Villafranca. Da loro seppi che venivano dal funerale di mia mamma. Così non rividi più mia mamma, nemmeno nella bara. Rimasi a casa per 10 giorni e poi ritornai a Silandro. Arrivato marcai visita; mi dissero che mi rimandavano in osservazione come de 81, non avendolo potuto fare prima. Cercarono la mia cartella non la trovarono più: allora mi applicarono l'articolo 75. Rimasi per 12 giorni in osservazione; mi fecero poi sedentario per insufficienza masticatoria, (già allora mi mancavano 16 denti). Restai a Silandro fino all'8 settembre del '43, giorno dell'Armistizio. In quel periodo ero attendente di un Capitano. Subito dopo l'Armistizio vi fu un grande sbandamento: non si sapeva cosa fare. Dopo pochi giorni i tedeschi ci presero prigionieri e ci mandarono a Males, sul confine Austro-Svizzero. Da lì ci trasferirono a Insbruk in un Campo di concentramento. Da lì ci divisero dagli ufficiali. Lo stesso mese di settembre ci caricarono sul treno e ci mandarono in Prussia Occidentale nel Campo di Concentramento "Stargard 2 D" nei pressi di Stettino (ndr: Stargard si trova oggi in Polonia, ai confini dell?attuale Germania), Laggiù ci siamo poi trovati i nostri ufficiali.
Nel campo di concentramento, dopo pochi giorni, ci riunirono tutti nel cortile; c'erano degli ufficiali tedeschi e, mi pare, dei fascisti.
Ci invitarono ad aderire alla nuova Italia fascista e alla Wehrmac. Ci dissero che il Duce era stato liberato ed era ritornato a comandare. Ci chiesero di alzare la mano per chi voleva aderire alla nuova Italia fascista: nemmeno uno alzò la mano. Visto così fecero altri tentativi per incastrarci. Uno di loro urlò: "Salute al Duce", e, come si sa, si doveva scattare sull'attenti e alzare il braccio destro; ma nessuno si mosse. Allora, i tedeschi, gridarono: "Viva il Re, viva Badoglio"; questo per vedere la nostra reazione. Allora tutti risposero: "Viva il Re, vita Badoglio". I tedeschi si arrabbiarono a sentire questo e cominciarono ad insultarci; ci chiamavano "luridi traditori badogliani". Dopo quell'adunata ci portarono in un magazzino e ci fecero posare le nostre scarpe; ci diedero dei chabot di legno. Della nostra roba personale ci lasciarono solo un paio di pantaloni, una camicia, un paio di mutande: il resto ci presero tutto. Per i primi tre giorni niente da mangiare: madòsca avevo fame... A Stargard 2 D rimasi un paio di mesi. Furono giorni di fame, botte e di pidocchi. In quel periodo fu scritto uno speciale "Bollettino di Guerra".
Bollettino n. 100
Dal gran Quartier Generale delle Forze Armate, si comunica: questa notte verso le 22, reparti cimici motorizzati della banda ex pidocchi hanno vivacemente attaccato di sorpresa le nostre baracche. Per quanto assopite nel sonno, le nostre truppe hanno svolto una brille opera di schiacciamento mettendo in funzione le potentissime unghie del pollice, ottenendone un clamoroso successo. Verso le 2 dopo mezzanotte, detto comando tramite radio, avvertiva che l'armata delle pulci, lanciavano sui fianchi le sue cavallerie le quali saltavano ogni ostacolo e superando pazze le mutande, si dilagavano sulla pianura pancia a quota 541. Immediatamente, con l'intervento del Genio guastatori, venivano, abbattute e decimate.
Alla mattina, di buon'ora, venne da parte nostra il rastrellamento da parte nemica si ebbero 300 morti fra pidocchi, pulci penetranti e, infine, alcune piattole prigioniere. Da parte nostra le perdite sono state minime: una cinquantina di bestemmie, alcuni sin alle camicie e alcuni bottoni saltati in aria dall'accanito combattimento.
Firmato: botte infernali - Generale Nay
(ndr: quando andai a casa di Giovanni, per l'intervista, mi fece vedere un pezzo di carta con su scritto il "Bollettino di Guerra" che aveva portato dalla prigionia. Ci parrà strano tutto questo ma, in realtà, serviva per sopravvivere).
Dopo quei primi due mesi, capitò un giorno che mi chiamarono al Comando tedesco, con altri prigionieri. Ad ognuno chiesero che mestiere avevamo. Poi ci fecero fare l'impronta del dito, con l'inchiostro. Alla sera, con altri, ci fecero partire su un treno, con destinazione ignota. Ogni tanto il treno si fermava in qualche stazione. Capitò che in una stazione vedemmo dei Carri merci carichi di patate, fermi sul binario accanto; cercavamo di prendere delle patate, cercando di eludere la sorveglianza dei tedeschi ma questo non fu possibile, e allora giù botte con il calcio del fucile: na madòsca... che vita per una patata!
Dopo altre ore di viaggio arrivammo in un'altra stazione, non so c'erano ad aspettarci tre carri, trainati da due cavalli. Ci fecero scendere dal treno; eravamo in 32 e salimmo sui carri.
Viaggiammo per tutto il resto della notte e la mattina successiva verso le due del pomeriggio arrivammo ad una cascina, ma in realtà era una grossa tenuta agricola, chiamata Salmov.
Arrivò il Fattore e ci sistemò in una baracca, ancora senza mangiare. Scoprimmo che la nostra baracca era contigua a quella di prigionieri russi: facemmo subito conoscenza, nonostante che non capissimo la loro lingua; essi, attraverso delle fessure, ci passarono delle fette di patate crude. A Salmov restammo un po' di tempo. Ci trasferirono poi in un'altra tenuta agricola, a Plachenagher, che era di proprietà di un Barone. A Salmov dovevano arrivare dei prigionieri canadesi. A Plachenagher rimasi per tutto il resto della prigionia. Una mattina, era il 4 marzo 1945, avevo appena finito di mungere le mucche quando decisi di andare per i boschi a prendere della legna e se capitava a tiro qualche cinghiale, se mi riusciva cercavo di prenderlo.
Quella mattina faceva un freddo cane. Si sentivano in lontananza dei bombardamenti. Ritornai in fretta alla tenuta. Mentre stavo arrivando il Master mi venne incontro, chiamandomi: "Torino, vieni qui?" mi chiamava Torino perché venivo da quelle parti, ed ero l'unico piemontese.
Il Master mi disse che la guerra volgeva al termine; i tedeschi stavano cadendo da tutte le parti, e mi invitò a venire via con loro. Io gli dissi che non volevo andarmene da lì. Il Master mi disse ancora che stavano arrivando i russi e che avrebbero ammazzato tutti. Noi italiani non c'è ne andammo e neanche i francesi. Intanto il Barone e la Baronessa cominciarono i preparativi per andarsene e così fu. Di lì a poco vennero anche le SS e ci dettero l'ordine di evacuare: noi non andammo via; i francesi, però se ne andarono, rimanemmo noi 15 italiani, dei polacchi e dei russi.
C'erano anche due donne russe con quattro ragazzi. Quando c'era stata l'avanzata dei tedeschi, quelle due donne russe furono fatte Prigioniere: divennero poi collaborazioniste dei tedeschi.
Alla sera, con alcuni miei compagni italiani, andammo in giro per le case della frazione a cercare da mangiare. Mentre eravamo in giro sentimmo uno scalpitio di zoccoli di cavalli: il selciato delle strade era in pietra; ci nascondemmo per osservare senza essere visti.
Vedemmo arrivare dei soldati a cavallo: notammo subito il loro berretto su cui spiccava una stella rossa: erano soldati russi. I miei compagni mi chiesero che cosa si doveva fare; io dissi che era meglio farci conoscere, così uscimmo in strada con le mani alzate, i russi vennero incontro e chiesero chi fossimo, e noi in coro: "Taglianschi, taglianschi", e loro "bravi italiani". Ci chiesero in quanti eravamo poi ci mandarono a chiamare gli altri; arrivati ci palparono, i russi i polacchi non osavano venire fuori, ma poi vennero. Un ufficiale russo ci dette poi un sigaro. Le due donne russe furono portate via. Sapemmo poi che una loro, Vera, fu uccisa. L'indomani un ufficiale russo ci disse di prepararci una fascia tricolore da mettere al braccio. La fascia dova avere i colori della nostra bandiera: questo, per far conoscere la nazionalità. Ci dissero poi di andare dove volevamo. Naturalmente potevamo andare verso Ovest, perché si combatteva ancora; andammo verso Est. Dal 5 marzo mi incamminai a piedi, verso Est, e fino al 28 aprile a sotto la pioggia e la neve. Con altri arrivammo poi in un paese un ufficiale russo si prese cura di noi. Lì fu organizzato un Centro raccolta per prigionieri. Fu allestita una lunga colonna di (ex) prigionieri e ci portarono a Drisen nella Russia bianca. Drisen era un Centro di raccolta di materiale che i soldati russi confiscavano durante la loro avanzata verso la Germania. Lì fui addetto a fare la guardia. Un giorno, ero di guardia sulla strada, di fronte al Corna ed avevo un fischietto con la birilla dentro che serviva per chiamare il Capo Posto: arrivò al galoppo una carrozza e, visto che aveva intenzione di passare, gridai: "Stoí, stoi" (alt, alt) ma essi non si fermarono. Imbracciai il fucile e sparai un colpo; la carrozza si fermò e scesero dei soldati russi: io avevo avuto ordine fermare tutti coloro che passavano; col trambusto che si fece, uscì fuori il Capo Posto e cominciò a parlare con quelli. Dopo mi fecero smontare e mi portarono al Comando, senza dirmi nulla, sul momento. Al Comando, di fronte agli ufficiali russi, mi diede della Grappa da bere e mi dissero: "Bravo, italiansco". Mi lasciarono poi ritornare al mio posto. Ma anche in quel posto c'era poco da mangiare. Una mattina me ne andai in giro in cerca di patate. Capitai in una casa di campagna dove c'erano due fratelli polacchi, che avevano sposato due sorelle. Questi avevano un mulino che macinavano il grano per soldati russi. Mi accolsero con loro. Io li aiutavo nei lavori di campi capitai nel periodo del taglio del frumento. Rimasi con quelli un po' di tempo.
Un giorno, uno di quei polacchi mi disse che i russi avevano intenzione di portare tutti i prigionieri più a Est. Visto così ritornai a Drisen per capire meglio la situazione.
Di lì a poco tempo quelli rimasti a Drisen, ci rimpatriarono: era il 12 ottobre 1945.
Arrivai in Italia il 14 dello stesso mese di ottobre.
Erano passati 7 anni da quel giorno che entrai nell'Esercito, e non per mia volontà. Che cosa ne ho guadagnato? Niente di niente! Mi chiedi che cosa ne penso della guerra: è la cosa più sporca che ci sia. Io sono credente perché sono un essere umano. Io avevo un padre; mio padre aveva un padre e così via. Credo che l'inizio sia stato creato da qualcuno. Io non vado molto in Chiesa, ma alla sera prego, alla mia maniera: ringrazio Nostro Signore per la giornata, e lo saluto; gli chiedo di darmi la buona notte e di perdonarmi se ho mancato (ndr: Giovanni frequentava la Messa della domenica, al Borgo, alle 8 del mattino. Si sedeva nei banchi in fondo alla Chiesa e rimaneva assorto. Giovanni era un tipo sanguigno: era uno che diceva pane al pane, con schiettezza). Ti voglio far sentire la canzone del mitragliere. Sai, mi diceva Giovanni, anche attraverso le canzoni di guerra si può capire lo stato d'animo dei soldati e del loro rifiuto alla guerra stessa; e per tenere vivo il ricordo dei propri cari e del proprio paese.
Canzone del mitragliere
"Quando io sono partito a fare il mio dovere, a fare il militare, da bravo mitragliere, lasciando i famigliari, la mamma mia mi diceva sempre: "chissà se tornerai".
Lasciai la mia casetta, con un bel pergolato. Un ultimo istante, vederla da un lato, per poi non vederla più.
Anche aspetterò la mia morosa che mi scriveva sempre: "Su, amore mio, che io ti aspetterò".
Vita triste in guerra ritroverò. Quando io ritornerò la mia casetta non più ritroverò.
L'unica mia speranza è la vita mia, è la morosa mia.
Ci siamo sempre amati; i guai sono già finiti; adiamoci a sposar .. a sposar.."
Giovanni Eandi muore a Vigone il 10 maggio 1992.
Note aggiuntive tratte dal foglio matricolare di Giovanni Eandi
Fonte archivio di Stato di Torino
Eandi Giovanni Bartolomeo, nato a Vigone il 19 settembre 1917 di Domenico e di Mottura Teresa Professione: contadino, 4° elementare. Domiciliato in Via Luserna,
Soldato di leva classe 1917 e lasciato in congedo illimitato il 22 Chiamato giugno 1937.
Chiamata alle armi 2 settembre 1938.
Tale nella Scuola Allievi Ufficiali di complemento presso il 6 c Fra Reggimento Fanteria, 3 settembre idem.
Aggregato al 76° Reggimento Fanteria li 30 settembre 1938.
Rientrato al Corpo li 23 ottobre 1938.
Trattenuto alle armi, 3 marzo 1940.
Trasferito al 17° Fanteria, 22 luglio 1940.
Imbarcatosi a Brindisi su aereo per l'Albania e sbarcato a Valona li 14 dicembre 1940.
Prigioniero di guerra nel fatto d'arme di Clisura (Albania) il 9 gennaio 1941.
Rientrato dalla prigionia e imbarcatosi a Suda (Grecia) sulla nave "Livorno" li 6 giugno 1941.
Sbarcato a Bari 12 giugno idem.
Presentatosi al Centro di raccolta reduci dalla prigionia di Covre Tresco (Bari) li 12 dicembre idem.
Traslocato al C.R.R. dalla prigionia di Vercelli, li 2 luglio 1941.
Rientrato al Comando Truppe al Deposito di Silandro, li 12 agosto 1941.
Inviato in licenza straordinaria di giorni 30+2, li 25 agosto 1941.
Rientrato il 26 settembre idem.
Inviato in licenza straordinaria per gravi motivi di famiglia, li ottobre 1941.
Assegnato ai servizi sedentari con determinazione dell'Ospedale Militare di Bolzano, li 5 novembre 1941.
Rientrato li 5 luglio idem.
Catturato dai tedeschi ed inviato in Germania li 9 settembre 1943.
Rientrato li 2 ottobre 1945.
Considerato prigioniero di guerra a tutti gli effetti.
Mandato in congedo illimitato li 4 dicembre 1945.
Campagne di guerra: 1941/1942/1943/1944/1945 (ndr: le campagne di guerra furono riconosciute, anche se trascorse in prigionia).
Autorizzato a fregiarsi del Distintivo della guerra con 2 stellette in corso, 4 novembre 1941.
Dal 14 dicembre 1940 al 9 gennaio 1941 ha partecipato alle Operazioni di guerra sul fronte greco-albanese.
Conferita la Croce di Guerra per internamento in Germania n. 1165 di Concessione del 3 marzo 1954.
Prigioniero dei Greci dal 9 gennaio 1941 al 6 giugno 1941.
Prigioniero dei tedeschi dal 9 settembre 1943 al 9 maggio 1945 e trattenuto dalle Forze Alleate fino al 2 ottobre 1945.
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