Patrimonio naturale, flora e fauna


Boschi ed Alberate

Qualcuno sostiene che, fino ad un millennio fa, buona parte delle terre che ora sono chiamate le “terre del mais e dei cavalli”, quando erano ancora da bonificare, fossero coperte da un unico, grande, bosco di querce, carpini, olmi e frassini. Il querco-carpineto della pianura padana.
Da residui fossili scoperti nel torrente Pellice, tra Vigone e Villafranca quando fu costruito il ponte del Pellice e nel Po ed un po’ in tutta la Pianura Padana, sembra proprio che fosse così. Ora però i boschi naturali sono scomparsi e quelli, rarissimi, rimasti, sono confinati ai bordi dei torrenti. Il territorio si è trasformato a seguito del disboscamento, per le esigenze di una sempre più ricca e produttiva agricoltura intensiva, ma a scapito dell’ambiente naturale.
Da qualche decennio, tuttavia, si sta attuando un lavoro di recupero in questo senso. Anche Vigone non è stato da meno. Nell’ultima parte degli anni ‘70, con l’approvazione del primo Piano Regolatore del Comune di Vigone si sono posti dei vincoli sulle aree circostanti i fontanili e si è vincolato il sito dove s’è conservato l’ultimo bosco di roveri della pianura pinerolese: il cosiddetto bosco dei Tetti Gironi, dove sopravvivono ancora alcuni grandi roveri e carpini.
Si è anche avviato, ultimamente un progetto di ripristino di alcuni fontanili sul territorio comunale, con l’impianto ex novo di boschi naturali, di cui si trovano ampie notizie in altra parte del sito. Ma, fatto davvero eccezionale, più unico che raro, alcune alberate della nostra cittadina sono state realizzate con le vecchie essenze che costituivano i boschi naturali della zona e di gran parte della pianura padana: le querce, i carpini, gli olmi, gli aceri, i tigli e via di seguito invece delle piante più conosciute e utilizzate nelle alberate urbane: platani, ippocastani, magnolie, liquidambar, etc. L’idea originale risale al 1977 allorché un attacco di grafiosi distrusse le meravigliose alberate di olmo del parco della stazione di Vigone : i cosiddetti viali della stazione.
Si fece di tutto, per evitare la morte degli olmi, ma non fu possibile salvarne neanche un esemplare. Stessa sorte fu riservata, in quegli anni, un po’ a tutti gli olmi, che vennero praticamente eliminati come piante ornamentali da parco. In quell’occasione ci si pose il problema di quale specie utilizzare per sostituire le mastodontiche piante di olmo. Si decise di utilizzare diverse specie tra cui le querce.
Sempre a quegli anni, esattamente nel 1978, grazie alla disponibilità di un vigonese che è il caso di ricordare, il sig. Giuseppe Gallo che fornì gratuitamente al Comune gran parte delle piante che lo stesso aveva in esubero dal novellame di un suo bosco naturale, si impiantò l’alberata di querce di via Pinerolo, sulla la strada che va verso ovest. Una bellissima alberata che, nonostante l’intervento di potatura eccessivamente castrante di qualche anno fa, costituisce una cortina di verde all’ingresso di Vigone che è ora, un incanto.
Per di più, al di là delle piante, nei prati, è solito pascolare una mandria di vacche piemontesi, con il loro manto bianco, formentino, il loro sguardo pacioso, che fornisce un paesaggio, all’ingresso di Vigone, che è davvero speciale ed un po’ d’altri tempi. Sono state utilizzate anche le querce nelle aree artigianali di recente impianto.
Anche qui, gli alberi nascondono, o nasconderanno perché per ora sono ancora piccoli, i capannoni artigianali che di per sé costituirebbero un impatto ambientale non certo positivo. Con le piante anche i capannoni diventano accettabili. Anche in Via Torino (strada che va verso nord, verso il cimitero,) si sta progettando ora di costruire un viale di carpini, anche questa è una delle piante più tipiche del vecchio bosco planiziale.
E’ rilevante ricordare che di questa essenza è costituito il viale della villa del Torrione a Pinerolo che, addirittura, per la sua bellezza, è stato vincolato dalla Sovrintendenza, come valore ambientale. Ma per quale motivo è stata fatta la scelta di utilizzare come piante ornamentale le vecchie essenze autoctone del nostro ambiente invece delle piante esotiche? E’ un inutile ed un po’ forzato ritorno al passato, un gusto un po’ puritano di ambientalisti fissati o esistono delle motivazioni particolari? Diciamo che in passato c’è stata la moda di scegliere le essenze d’importazione esotiche, perché costituivano una novità e si ritenevano più preziose.
Come se quello che viene da lontano fosse per forza meglio. Ora invece si crede giustamente che il patrimonio di specie autoctone, che ci siamo quasi dimenticati di avere, sia un valore da salvaguardare e vada ripristinato. Come una volta.
Dino AMBROSIO

Fontanili (Angiale e Risorgiva Biarone-Via Santa Maria)

In tutto l’agro vigonese, zona di pianura a ridosso delle montagne, è frequente un fenomeno di origine carsica, la risorgenza spontanea di acque sotterranee di probabile provenienza dai bacini dei torrenti Chisone e Pellice.
L’acqua dei fontanili, di qualità minerarie buone, ha permesso lo sviluppo di un habitat naturale ricco di fauna (le lamprede, in via di estinzione, i gamberi di acqua dolce e poi gli scazzoni, i vaironi, le trote fario e marmorate ecc.) ed ha influenzato nel tempo l’economia della comunità ed il paesaggio agricolo.
Molti dei fontanili erano in passato adibiti a maceratoi di canapa (cosiddetti ‘nasor’), allo scopo di ottenere la giusta morbidezza delle fibre. Numerosissime fino al dopoguerra (la tradizione orale riferisce di duecento fontanili presenti sul territorio agli inizi del Novecento) queste polle d’acqua sono state poi quasi tutte interrate, nella logica di una politica agricola che dalla diversificazione delle colture è passata, nel giro di pochi decenni, alla monocoltura intensiva di un prodotto, il mais, che necessita di buone irrigazioni.
Il riempimento dei fontanili, il sotterramento di molte balere e di fossi costretti in tubazioni, la scarsa o nulla manutenzione delle ripe, la scomparsa di molti boschi e di zone umide lungo il corso del torrenti congiuntamente ai mutamenti climatici hanno causati i danni all’ambiente che sono ormai sotto gli occhi di tutti.
Nel corso degli ultimi anni il Gruppo Pescatori Sportivi di Vigone con l’appoggio del Comune ha condotto e conduce un sapiente lavoro di recupero per far riaffiorare nuovamente le sorgenti naturali, salvaguardando e valorizzando il patrimonio idrico del territorio. Curiosità: la tradizione narra che nel fontanile dell’Ulè, uno dei fontanili presenti nel territorio vigonese, vi fosse affogato l’ ‘ulè’ cioè il vasaio, il produttore delle olle in terracotta.

Le Risorgive e i Fontanili

L’Italia settentrionale è delimitata a nord e ad ovest dalla dorsale meridionale dell’arco alpino, a sud dalla dorsale settentrionale dell’arco appenninico e ad est dal Mare Adriatico; tra queste due catene montuose e il mare si estende la Pianura Padana.
La Pianura Padana è di origine alluvionale, ciò significa che il materiale litoide di cui è formata ha origine da massi, ghiaia, sabbia e limo che, nel corso dei millenni, sono stati trasportati a valle dai corsi d’acqua e dai ghiacciai provenienti dalle Alpi e dagli Appennini.
 I corsi d’acqua in particolare, scorrendo da monte verso valle per effetto della forza di gravità, acquistano energia che dissipano inizialmente erodendo il bacino imbrifero, secondariamente trasportando i materiali erosi ed infine, in assenza di energia, depositandoli. Il passaggio tra i vari momenti di questa attività dinamica, così come il loro svolgimento, avviene in maniera graduale.
La deposizione dei sedimenti inizia, a partire dalle zone prossime agli sbocchi vallivi, con i materiali litoidi di maggior peso e dimensione e prosegue gradatamente, verso la zona centrale della Pianura Padana, con quelli più leggeri e fini. Al decrescere del diametro dei sedimenti corrisponde una minore permeabilità al passaggio dell’acqua, per tale motivo le fasce più esterne dell’Alta Pianura Padana risultano maggiormente permeabili rispetto alle zone della Bassa Pianura, che costringono l’acqua presente nel sottosuolo a sgorgare in superficie.
Questi affioramenti prendono il nome di “risorgive” e sono disposti intorno all’asta principale del fiume Po formando una fascia di larghezza compresa tra i 2 e i 30 chilometri, conosciuta appunto come “fascia delle risorgive”. [center][img]font_01.jpg[/img] -
Esemplificazione stratigrafica del fenomeno delle risorgive - [img]font_02.jpg[/img] -
Ubicazione delle risorgive nell’Italia settentrionale.
 In origine questi luoghi apparivano come grossi acquitrini, ma ad iniziare dall’XI-XII secolo, ad opera di confraternite religiose, vennero bonificati al fine di ricavare maggior terreno da destinare all’agricoltura e all’allevamento.
La bonifica avvenne convogliando l’acqua di queste zone paludose in fossi appositamente realizzati, noti come “fontanili”. Questi corsi d’acqua semi-artificiali appaiono morfologicamente simili tra loro: è spesso possibile, infatti, individuare nella zona delle sorgenti una profonda buca circolare, chiamata “testa del fontanile”.
Qui, in passato, sono stati piantati numerosi tubi nel suolo, allo scopo di captare l’acqua della falda e favorirne l’affioramento in superficie.
Questi tubi (conosciuti come “Tubi Calandra”, in omaggio al suo inventore) sono di ferro, lunghi un paio di metri e con l’estremità alla base munita di numerosi fori: in questo modo l’acqua può facilmente penetrarvi all’interno e, risentendo unicamente della pressione atmosferica, risalire in superficie. Da qui le acque vengono fatte defluire in un canale principale, chiamato “asta del fontanile”, caratterizzato da una larghezza più modesta e costante e con sponde talvolta protette da fascine di legna o da muretti a secco. [center][img]font_03.jpg[/img] [img]font_04.jpg[/img] -
Esempio di una testa di fontanile.
 L’acqua di risorgiva ha una temperatura pressoché costante per tutto l’arco dell’anno, compresa tra 8 e 12 °C, almeno nelle zone prossime alle sorgenti. Anche la portata idrica non subisce forti variazioni, tipiche invece dei torrenti montani e l’acqua, perciò, risulta solitamente limpida. L’ecosistema che viene a crearsi è di enorme valore naturalistico ed ecologico: in particolare oggi che la pianura Padana appare totalmente antropizzata, questo ambiente costituisce rifugio per numerose specie animali e vegetali, che, proprio qui, possono ancora sopravvivere e riprodursi.
Non va inoltre dimenticato il grosso valore storico e culturale di questi corsi d’acqua: poiché hanno influenzato enormemente, almeno in passato, lo sviluppo urbanistico e paesaggistico del territorio. Per i motivi sopra esposti la loro tutela ed il loro recupero si dimostrano di estrema importanza.

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